C’era una volta Copenhagen

Fonte: la Repubblica

Clima, questo sconosciuto già disattesi gli impegni del vertice di Copenaghen

L´Onu: "Saltata la scadenza di gennaio" Fallito il summit, le speranze future sono affidate agli accordi tra i grandi inquinatori
Solo venti Paesi su 192 hanno presentato i propri piani di taglio delle emissioni
di MAURIZIO RICCI

A botta calda, era stato giudicato un mezzo fallimento. Un mese dopo la sua tumultuosa conclusione, il vertice di Copenaghen appare un fallimento totale, vuoto di impegni e di scadenze. Per mantenere entro i 2 gradi l´aumento di temperatura mondiale causato dall´effetto serra, i singoli paesi avrebbero dovuto indicare entro il 31 gennaio, si era detto a Copenaghen, i loro programmi nazionali di riduzione delle emissioni al 2020. Impegni volontari e non vincolanti, la cui somma, in base agli annunci dei mesi scorsi, veniva giudicata dalla comunità degli scienziati comunque insufficiente a raggiungere l´obiettivo dei 2 gradi. Tuttavia, per la prima volta, paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo si sarebbero ritrovati nello stesso elenco di impegni contro l´effetto serra, che, finora, i grandi paesi emergenti, e come loro gli Usa, avevano rifiutato. Ne è venuto fuori ben poco.

A dieci giorni dalla scadenza del 31 gennaio, ammette il responsabile Onu per il clima Yvo de Boer – segretario dell´United Nation Framework Convention on Climate Change – solo una ventina di paesi, sui 192 presenti a Copenaghen, si è presa il disturbo di comunicare all´Onu i suoi impegni: fra questi, India, Russia, Messico, Australia, Francia e Norvegia. Di fatto, il 31 gennaio è diventata quella che lo stesso de Boer definisce «una scadenza flessibile»: «I governi possono dare l´indicazione entro il 31 gennaio, o anche dopo». Ufficiosamente, i governi dei paesi ricchi hanno fatto sapere all´Onu che ribadiranno i loro impegni: l´Europa per una riduzione dei gas serra del 20 per cento rispetto al 1990, il Giappone del 25 per cento rispetto al 2005, gli Usa del 17 per cento, sempre sul 2005. Ma la chiave di Copenaghen era la decisione dei grandi paesi emergenti di assumere per la prima volta una responsabilità diretta verso l´effetto serra. Non una riduzione assoluta delle emissioni, come i paesi ricchi, ma un loro contenimento, anche in presenza di sviluppo economico: 45 per cento in meno di emissioni per unità di prodotto interno lordo per la Cina, 25 per cento per l´India, 36 per cento per il Brasile. I tre paesi, più il Sudafrica, si incontreranno a Delhi dopodomani per decidere la loro posizione. Secondo le indiscrezioni, ribadiranno gli impegni già annunciati (come ha fatto l´India). Secondo altre voci, invece, viste le esitazioni dei paesi ricchi, potrebbero ridimensionarli o lasciarli in sospeso.
L´accordo di Copenaghen, del resto, non ha nulla di vincolante. È, come dice de Boer, sostanzialmente «una lettera politica di intenti». Tuttavia, è presto per parlare di catastrofe climatica. Quello che esce a pezzi dal vertice di Copenaghen e dalle "scadenze flessibili", più che la lotta all´effetto serra è il processo decisionale dell´Onu, cioè il tentativo di varare un accordo legalmente vincolante, approvato all´unanimità da 192 paesi. Lo riconosce lo stesso de Boer: «Non puoi avere tutti i paesi, in ogni momento, nella stessa stanza». Il futuro della lotta all´effetto serra passa, probabilmente, per accordi più ristretti. In fondo, i paesi industrializzati, più Cina, India e Brasile, rappresentano da soli, l´80 per cento delle emissioni mondiali. Un buon accordo fra loro vale più di un cattivo accordo firmato da tutti. Molti economisti ricordano che, con questo realismo, si sono tenute in vita, al Wto, le trattative per la liberalizzazione del commercio mondiale. Il problema è che il realismo si scontra con la realtà della politica: se, nei prossimi mesi, in America, non passerà la legislazione sul clima che consenta ad Obama di assumere vincoli più stringenti sull´effetto serra, sarà difficile pensare ad un impegno mondiale. E ora, dopo l´ultima sconfitta elettorale al Senato, Obama è più debole

This entry was posted in Copenhagen, Stampa. Bookmark the permalink.